
Il 21 settembre 1990 Piero Nava, rappresentante di commercio originario di Lecco, sta percorrendo la statale che da Enna lo conduce a Caltanisetta. Superata l’uscita per Canicattì nota un’auto, una Fiesta rossa, ferma a bordo strada e un uomo che scavalca il guardrail. Anche due motociclisti e una Fiat Uno sono lì, fermi. Una scena che da subito gli appare “strana”. Li supera, punta gli occhi nello specchietto retrovisore e nota che uno dei due motociclisti tiene in pugno una pistola. Che succede?
Piero si precipita nell’ufficio di un collega, quindi telefona alla polizia per denunciare ciò che ha visto.
Da allora la sua vita cambierà irrimediabilmente. Sì, perché quello a cui ha assistito è l’assassinio del giudice Rosario Livatino!
Da quel 21 settembre Piero Nava “muore” per rinascere Testimone di Giustizia, il primo in Italia.
Quella che il libro prima e lo spettacolo poi raccontano è la storia di un uomo che ha sacrificato la sua esistenza, e inevitabilmente quella dei suoi affetti più cari, in nome di un radicato sentimento di giustizia che non può che passare attraverso l’assunzione di responsabilità, un profondo senso civico che lo porta ad affermare con forza: “quello che ho fatto era la cosa giusta, la sola cosa da fare…lo rifarei!”, malgrado abbia comportato l’inizio di un vero e proprio calvario non ancora terminato.
E’ una storia importante questa da raccontare, da far conoscere, da diffondere. Piero Nava non è un eroe dell’antimafia, non è Falcone non è Borsellino, è un uomo comune che il destino ha trasformato in un eroe civile.
E ancora più importante è che la conoscano i ragazzi perché, come dice lo stesso Nava, “imparino a riconoscere la differenza tra ciò che è facile e ciò che è giusto” e sappiano che assumersi delle responsabilità, non girare la testa, comporta anche delle conseguenze ma ci definisce come Uomini.
E Piero Nava è pienamente Uomo, determinato nel riconoscere quelli che sono i suoi diritti ma anche i suoi doveri. Un uomo che non si stanca di affermare di essere anche lui, come tutti noi, Stato!
NOTA DEGLI AUTORI
La prima volta che abbiamo visto Piero Nava era febbraio. Lo scenario: uno degli aeroporti più trafficati d’Europa. Uomini eleganti con la ventiquattrore, ragazzi con addosso zaini più grandi di loro, turisti che si aggiravano per il duty-free. C’eravamo anche noi, ma senza voli da prendere. Come da accordi, eravamo posizionati poco lontano dall’ingresso, seduti al tavolino di un bar, tra le mani tenevamo ben in vista lo stesso giornale che avevamo contribuito a scrivere il giorno prima. Era semplicemente il nostro segno di riconoscimento. I nostri occhi si posavano con fremente discrezione su ogni uomo che passava e che sarebbe potuto essere lui. Prima un sessantenne apparentemente giovanile, poi uno con l’aria già da anziano. Un tipo molto dimesso, uno più eccentrico. E ogni volta per pochi istanti ci pareva di riconoscerlo, il nostro uomo, anche se non sapevamo nulla del suo aspetto.
Poi, eccolo. I nostri ricordi a questo punto sfumano. C’è chi di noi ha memoria di un gesto, chi di una parola, chi di altro. Tutti, però, rammentiamo come si è presentato.
“Sono io!”.
Ce l’avevamo fatta, eravamo li. Stavamo parlando col supertestimone del caso Livatino.
Spiegare la ragione esatta della nostra ricerca non è semplice. C’era ovviamente il gusto selvaggio dell’“impresa giornalistica”, ma c’era anche la volontà di dedicare anima e corpo a una storia che non meritava di rimanere relegata solo alle cronache di quei mesi. Nelle lunghe chiacchierate che Piero ci ha poi concesso, la domanda più ricorrente era sempre: E dopo? C’era sempre un dopo: la storia non voleva saperne di finire. Dietro ogni angolo della sua vita c’era una delusione e una nuova speranza, un baratro e una scala. Da quel 21 settembre 1990, Piero Nava, la sua compagna e i suoi due figli sono spariti. Inseriti in un programma di protezione all’epoca ancora tutto da pensare e costruire. Ci sono voluti mesi di lavoro e ricerche per arrivare a parlargli. Non sarebbe mai stato possibile rintracciarlo direttamente, ma potevamo quanto meno fare in modo che lui sapesse che lo stavamo cercando. Abbiamo cosi concentrato gli sforzi per risalire a quel gruppo ristretto di funzionari e superpoliziotti che, durante gli anni del processo, lo avevano incontrato e protetto. Proprio uno di loro, alla fine, ha acconsentito a fare da tramite con Piero, aprendo quello che è stato da allora il nostro canale.
“Faccio tutto questo nella speranza che la vita d’inferno che è toccata a me, un uomo innocente, non tocchi mai più a nessun altro testimone. Ancor di più, vorrei che i giovani sapessero ciò che e successo e capissero la differenza tra ciò che è facile e ciò che è giusto”, ecco la ragion d’essere che Piero ha consegnato a questo libro.
Lorenzo Bonini Stefano Scaccabarozzi Paolo Valsecchi